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“Longevità” è l’edizione italiana di “Lifespan”, un capolavoro prodotto dal genio irriverente e antiparadigmatico di David Sinclair, pioniere e leader internazionale nel campo della ricerca su invecchiamento e longevità.
Questa opera ha catturato la mia attenzione fin dal primo capitolo, dove Sinclair cita il libro di Thomas Kuhn “The Structure of Scientific Revolutions” (La Struttura delle Rivoluzioni Scientifiche), che mi aveva affascinato al punto da diventare il soggetto del mio discorso presidenziale al congresso internazionale della Cell Transplant Society. Kuhn spiegava come il progresso della scienza conduce inevitabilmente a nuove domande, alle quali i ricercatori inizialmente cercano di rispondere entro i canoni del paradigma corrente. Questo perché la vecchia guardia, che controlla fra l’altro l’erogazione dei finanziamenti scientifici, difficilmente potrebbe abbracciare una nuova ipotesi rivoluzionaria, che mette in discussione il dogma da lei stabilito.
Con il tempo la crisi cresce fino a far emergere il “paradigm shift” (cambiamento di paradigma), che avviene non tanto perché la vecchia guardia si convince della nuova evidenza, ma piuttosto perché muore, si estingue, e viene sostituita da una nuova generazione di scienziati.
Ai tempi di Galileo e Copernico, un cambiamento di paradigma come il concetto che la Terra ruotasse intorno al sole, e non viceversa, poteva richiedere secoli. I tempi si stanno fortunatamente accorciando, e spero che il nuovo paradigma rivoluzionario introdotto da David Sinclair verrà presto e inconfutabilmente accettato: l’invecchiamento è una malattia … invecchiamo, ma potremmo non farlo. Un concetto molto vicino alla mia visione della vecchiaia, da sempre considerata una malattia terminale (sessualmente trasmessa) irreversibile, ma che non deve necessariamente esserlo, o perlomeno potrebbe venir convertita in una malattia cronica ad andamento molto più prolungato.
Dal secondo capitolo sono poi rimasto decisamente folgorato, quando Sinclair racconta del suo incontro con Doug Melton a Harvard, un altro gigante e “paradigm shifter” nel campo delle cellule staminali. Sono onorato di chiamare Doug amico, collega e collaboratore, con il quale effettueremo a breve i primi trapianti di cellule staminali differenziate in cellule che producono insulina, per la cura del diabete. Doug aveva senz’altro riconosciuto il potenziale trasformativo del pensiero di Sinclair, assegnandogli la borsa di studio della Helen Hay Whitney Foundation, che nel 1995 gli avrebbe permesso di trasferirsi a Boston per continuare la sua eccezionale carriera.
Le mie sorprese continuavano, scorrendo capitoli che vi coinvolgeranno sempre di più, fino alla fine del capitolo sette, in cui Sinclair parla di Luhan Yang, un’altra amica/collaboratrice che ho portato recentemente in sala operatoria a Miami per assistere a un trapianto di isole pancreatiche. Con Luhan, che attualmente lavora in Cina, stiamo in contatto per discutere come meglio modificare i maiali con l’editing genetico, per “umanizzare” i loro organi permettendo in futuro di trapiantarli come se fossero organi umani (negli Stati Uniti più di 11.000 pazienti muoiono ogni anno per mancanza di donatori d’organo e in Cina il problema è molto più grave). Luhan è stata recentemente nominata “Young Global Leader” al World Economic Forum, e uno dei “30 under 30” da Forbes Magazine, una delle 30 persone sotto i 30 anni più influenti nella scienza e sanità.
Potrei continuare a elencare elementi e aneddoti condivisibili fino alla fine di questo libro interessantissimo, ma non è per questo che mi è stato chiesto di contribuire con questa breve introduzione all’edizione italiana di “Lifespan”.
In questa opera Sinclair ci fa capire che l’invecchiamento non è scritto nel codice della creazione e che solo la curiosità, la lucidità e l’intelligenza antiparadigmatica umana ci potranno rendere degni del dono della vita. Sinclair ci travolge in un viaggio che parte dai riferimenti storici delle tappe più critiche delle ricerche su invecchiamento e longevità, arrivando al presente, per poi spingersi ai confini della scienza, facendoci scoprire quello che fino a pochi anni fa sarebbe stato considerato un’ipotesi eretica, fantascienza, ma che ora potrebbe catapultare il dogma dell’inevitabilità dell’invecchiamento.
Le scoperte e le ricerche di Sinclair sui fattori che hanno permesso di raddoppiare l’aspettativa di vita in modelli sperimentali, decifrando i segreti delle “meduse immortali”, delle balene bicentenarie, e introducendo la “teoria dell’informazione dell’invecchiamento”, che spiega come l’invecchiamento sia una perdita di “informazione della giovinezza”, dove il “rumore” epigenetico introdotto da fattori di rischio riduce progressivamente la nostra aspettativa di vita sana.
Una volta si diceva che era il nostro patrimonio genetico a determinare l’aspettativa di vita … ora si pensa che forse contribuisca al 15%, mentre l’85% è determinato da fattori epigenetici. Si può però resettare l’epigenoma e rallentare l’orologio dell’invecchiamento o farlo tornare indietro di decadi, grazie a un’armata di molecole scoperte e in via di sviluppo, da polifenoli, attivatori delle sirtuine, pterostilbene, politadine, lactoferrina, fisetina e senolitici, per nominarne qualcuna. Laboratori internazionali sono sempre più concentrati su questi temi, perché anche se non molti pensano che vivere fino a 150 anni sia un traguardo raggiungibile o desiderabile, un argomento su cui siamo tutti d’accordo è che prolungare la sopravvivenza sana, il cosiddetto healthy lifespan o healthspan, è non solo desiderabile e raggiungibile, ma rappresenta un dovere morale di qualsiasi società moderna e responsabile.
L’obiettivo di prolungare la vita sana è ormai reso più raggiungibile anche grazie al progresso esponenziale della genomica e delle piattaforme di biomarkers quali “InsideTracker” dove l’identificazione di fattori di rischio e il tracciamento biologico individuale permettono di definire strategie personalizzate, identificando l’età biologica di ogni individuo in base a marcatori che cambiano con l’età, e permettendo anche di seguire cambiamenti nel tempo che risultano dalle strategie innovative introdotte, per ringiovanire o rallentare l’invecchiamento.
Negli USA, la longevità è diminuita negli ultimi 3 anni, e per la prima volta i bambini nati oggi potrebbero vivere meno dei loro genitori. Il 90% della popolazione sopra i 65 anni è affetto da almeno una patologia cronica degenerativa, con il 75% affetto da due comorbilità. È ormai evidente che queste comorbilità insieme all’età avanzata sono fattori di rischio critici anche per lo sviluppo delle complicanze più temibili delle infezioni virali, come Covid-19.
L’infiammazione cronica indotta dalla dieta sta emergendo come fattore significativo che può influenzare l’incidenza e la progressione di molte condizioni degenerative, tra cui obesità, diabete, malattie cardiovascolari, malattie osteo-articolari, malattie neurodegenerative, malattie autoimmuni e cancro, solo per citarne alcune.
Parallelamente all’evoluzione delle diete occidentali malsane e alla progressiva insufficienza di fattori protettivi si è sviluppato un contesto comune che predispone alla malattia. Maggiori investimenti nella prevenzione e nelle ricerche sulla biologia dell’invecchiamento e per prolungare la sopravvivenza sana sono ormai una necessità irrinunciabile, criticamente importante come il riscaldamento globale e la sostenibilità ambientale del nostro pianeta, se vogliamo sperare in un futuro per i nostri figli e nipoti, che sia migliore del nostro.
Buona lettura!
Camillo Ricordi
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