🧠 La certificazione del medico nell’era digitale: una necessità, non un optional
Viviamo un paradosso: mai come oggi i medici sono stati presenti online, eppure mai come oggi è difficile distinguere un professionista vero da chi lo imita.
Il web ha disintermediato tutto: il dialogo, l’autorità, perfino la diagnosi. E nella medicina estetica, questo fenomeno ha trovato il suo laboratorio più estremo.
Medicina estetica: il terreno senza regole
Non esiste una specializzazione universitaria in medicina estetica.
Qualunque medico, in teoria, può esercitarla. Questo ha generato un’offerta satura, opaca, in cui si trovano:
- professionisti competenti e formati,
- generalisti che improvvisano,
- operatori senza titoli che sfruttano zone grigie del sistema.
Il risultato?
Un mercato potente, ma disordinato, dove i pazienti sono lasciati soli a decidere in base a segnali deboli: il prezzo, il numero di follower, l’impatto di una foto prima/dopo.
Chi ha studiato, spesso, viene confuso con chi ha solo investito in visibilità.
Il problema è culturale, non solo digitale
L’emergenza non è solo sanitaria o legale.
È epistemica.
Il paziente non distingue più la fonte dell’autorevolezza.
E in assenza di strumenti chiari, si affida a ciò che appare rassicurante: un sito ben fatto, un influencer in camice, una promessa efficace. Poco importa se dietro c’è una laurea o un’idea.
Eppure, il quadro normativo non è assente.
L’abuso della professione medica è un reato grave. Ma il suo monitoraggio è lentissimo, inadatto alla velocità con cui si muove l’economia dell’immagine.
E come sempre accade nei contesti a bassa sorveglianza, chi ha poco da perdere si butta per primo.
Certificare oggi significa tutelare il pensiero clinico
Chi gestisce una struttura sanitaria — digitale o fisica — si trova di fronte a una responsabilità nuova: non solo garantire la qualità delle cure, ma anche la tracciabilità dell’identità del medico.
Non basta più che un professionista sia competente: deve essere riconoscibile, verificabile, comprensibile.
Da qui nasce l’esigenza di sistemi di certificazione digitale, capaci di tutelare:
- il titolo di studio,
- l’identità professionale,
- la relazione di fiducia con il paziente,
- la difesa da furti di immagine, fake profile, deepfake sanitari.
Non è solo cybersecurity. È legittimazione epistemica.
È difesa del pensiero clinico in un contesto dove tutto sembra uguale e intercambiabile.
Perché tutto questo riguarda la medicina, e non solo il marketing
Molti colleghi, legittimamente, restano scettici.
“La medicina si fa sul campo, non sui social”, dicono.
Ed è vero.
Ma oggi, la prima visita spesso è la homepage. Il primo contatto, una chat. La prima domanda, un dubbio espresso su Google.
Essere riconoscibili, oggi, non è una forma di autopromozione. È una forma di protezione collettiva.
Non è un badge per farsi belli.
È una barriera contro chi — senza titoli, senza competenze, senza scrupoli — scivola nello spazio digitale e sfrutta l’equivoco per fare danni.
Una riflessione per i colleghi
Non possiamo continuare a credere che basti il titolo di medico per essere riconosciuti come tali.
Nel nuovo contesto informativo, la verità non si presume: va dimostrata, comunicata, certificata.
Non per vendere, ma per difendere.
Difendere la medicina vera.
Difendere il paziente.
Difendere anni di studio da chi li riduce a un post su Instagram.
Sergio d’Arpa